Avendo ascoltato la versione dal vivo, da parte di diversi artisti, di quello che è diventato un po’ uno “standard”, cioè “Goodbye Pork Pie Hat”, è notevole quanto questa composizione sia stata durevole in un arco di tempo piuttosto lungo della storia del jazz e del rock. Il mio primo incontro con questa melodia fu la versione dal vivo dello stesso Charles Mingus al contrabbasso, all’inizio degli anni ’70. Il signor Mingus – essendo una figura impressionante, musicalmente e in termini di presenza scenica, ha eseguito il suo pezzo molto nel modo in cui ci si aspettava dai musicisti jazz della metà degli anni ’60 – primi anni ’70 – orientati al jazz e alle big band. Come si dice – l’ispirazione per questa composizione fu il cappello che Lester Young era solito indossare.

Quattro grandi artisti – e le loro interpretazioni dal vivo di “Goodbye Pork Pie Hat”

Le successive versioni dal vivo della melodia, da parte di altri artisti, dopo gli anni 70 sono state molto in territorio jazz-rock o fusion. John McLaughlin eseguì la melodia con Jonas Hellborg (basso) sia nel contesto del loro breve duo – sia con la tardissima versione dei Mahavishnu, che comprendeva anche Mitch Foreman (tastiere), Bill Evans (sassofono) e Danny Gottlieb (batteria). La versione in duo era davvero molto jazz. Il Mahavishnu – versione quartetto – aveva un approccio più fusion, introdotto da John McLaughlin, come bis: “A song to give you sweet dreams”. Entrambe le versioni di Mr. McLaughlin erano suonate su chitarre elettroacustiche a corpo cavo. La sua versione, che appare su “My Goals Beyond”, per molti aspetti si attiene all’originale.

Jeff Beck ha eseguito “Goodbye Pork Pie Hat” – numerose volte – sulla sua Stratocaster, prima come un numero separato – poi come un medley – “Goodbye Pork Pie Hat”/”Brush with the Blues”. La sua versione include l’intro ma non dà una resa completa della composizione. Il medley “Goodbye Pork Pie Hat”/”Brush with the Blues” è sempre stato un “crowd pleaser”.

Il 15 agosto 2009 – Bill Frisell esegue “Goodbye Pork Pie Hat”, su una Telecaster, all’Oslo Jazz Festival. Anche la sua versione contiene molto della composizione originale, ma è, in un certo senso, più “orientata al suono”, soprattutto a causa dell’ampio uso di modulazione del suono da parte del signor Frisell. L’inizio era molto sciolto. Il tema stesso è apparso un po’ più tardi nella sua esecuzione. Il suono era molto chiaro. I vari ritardi digitali e altri modulatori sono stati usati con grande gusto. Questo era un concerto solista, quindi c’era solo un artista e la sua chitarra – il che ha messo in evidenza la composizione. Nessun altro strumento si è distratto.

Per riassumere: non è difficile capire perché questa composizione ha guadagnato tanta attenzione nel contesto jazz e rock. Può essere suonata e ridefinita in moltissimi modi – ogni volta/ogni versione da concerto – essendo diversa – e sempre stimolante.

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