A Fundamental Problem about Hylomorphism

Se ci basiamo su una semplice illustrazione dell’hylomorphism di Aristotele, allora, come Ackrill (1972-3) ha evidenziato per primo, arriviamo con sorprendente rapidità a un problema significativo per il trattamento altrimenti attraente di Aristotele delle relazioni anima-corpo. Secondo l’analisi olomorfa di Aristotele del cambiamento e della generazione, quando un blocco di bronzo viene formato con la forma di Hermes, una statua di Hermes viene in esistenza. Quando questo stesso bronzo viene poi fuso e rifuso come statua di Domiziano, allora la statua di Hermes esce dall’esistenza e una statua di Domiziano entra nell’esistenza. Cruciale per questo semplice resoconto della generazione omorfa è il pensiero che il bronzo che prima acquisisce e poi perde una forma (la forma di Hermes) e poi acquisisce una nuova forma (la forma di Domiziano) è esso stesso solo contingentemente formato da entrambe le forme. Parliamo del grumo o della quantità di bronzo come continuativo attraverso l’intero processo; e questo sembra plausibile, perché il bronzo stesso non ha essenzialmente una forma. Forse è essenzialmente bronzo o essenzialmente metallo, ma non è essenzialmente a forma di Ermete o di Domiziano.

Sembra dunque che ogni materia che sta alla base della generazione sia solo contingentemente formata dalla forma che acquista nel processo di generazione. Ora, però, arriva una stranezza per l’olomorfismo nel caso delle relazioni anima-corpo: Aristotele pensa evidentemente che un corpo umano sia essenzialmente formato dall’anima di cui è il corpo. Cioè, a differenza del bronzo, un corpo, la materia di un essere umano, non può perdere la sua forma, la sua anima, e rimanere in esistenza. Questo, in ogni caso, sembra essere una diretta conseguenza dell’insistenza di Aristotele sul fatto che un corpo che ha perso la sua anima non è affatto un corpo, “se non in modo omonimo” (DeAnima ii 1, 412b10-24). Facendo appello all’omonimia in questa connessione, Aristotele intende suggerire che un corpo senza anima non è più un corpo come un occhio in una scultura di un essere umano è un occhio. Lo chiamiamo occhio, ma solo per estensione del termine. Un occhio in una scultura o in un quadro appeso al muro di un museo non è veramente un occhio; non è un organo usato per vedere. Così il suggerimento di Aristotele è che un corpo morto, o un cadavere, è più simile a una statua di un corpo che a un corpo reale. Sembra un corpo, forse, ma non è affatto un corpo. Questo è presumibilmente il motivo per cui Aristotele dice di un tale corpo: “Il corpo che ha perso la sua anima non è quello che è potenzialmente vivo; questo è piuttosto quello che ha un’anima” (DeAnima ii 1 412b25-26). L’intento è evidentemente che solo un corpo già inabitato è potenzialmente vivo. Ciò rende un corpo diverso da un blocco di bronzo, che può essere potenzialmente una statua mentre è ancora di fatto un blocco e non una statua, qualcosa, cioè, palesemente non formato dalla forma di una qualsiasi statua. In effetti, questa doveva essere la principale virtù della materia nel racconto di Aristotele sulla generazione.

Ora, quali che siano le ragioni di Aristotele per appellarsi all’omonimia in questa connessione, si dovrebbe prima apprezzare che essa ha conseguenze immediate e problematiche per la sua analisi olomorfica di anima e corpo. Perché implica che nessun corpo umano è contingentemente dotato di anima; piuttosto, ogni corpo umano è essenzialmente dotato di anima ed esce dall’esistenza nel momento in cui perde la sua anima, cioè nel momento della morte. Questo sembrerà controintuitivo, nella misura in cui sembra peculiare parlare di un corpo umano che cessa di esistere al momento della morte. Si pensi, dopo tutto, che molti cittadini dell’Unione Sovietica facevano uno sforzo speciale per vedere il “corpo di Lenin” esposto a Mosca, o che il “corpo di Re Tut” era conservato attraverso la mummificazione. Forse, però, si potrebbe concordare che tutto questo è solo un modo di dire, che un corpo imbalsamato e disposto per la visione o un corpo portato in giro per vari musei per essere esposto è più simile a una statua che all’organismo respirante appartenente a un umano vivo. Questo non è, tuttavia, il vero problema notato da Ackrill. Si tratta piuttosto del fatto che il resoconto olomorfo del cambiamento sembra richiedere che i pezzi di materia siano solo contingentemente formati; il bronzo non è diventato il bronzo che è acquisendo questa o quella forma. Invece, il bronzo è il bronzo che è a causa del suo essere una lega di rame e stagno, qualcosa che era prima di essere formato dalla forma di Hermes, qualcosa che rimane mentre è formato da quella forma, e, naturalmente, qualcosa che è ancora dopo che quella forma è stata persa. Se i corpi umani non sono corpi quando non sono inanimati, e se le anime dei corpi sono, come dice Aristotele, le loro forme, allora i corpi umani non sono suscettibili di un trattamento allomorfo. L’applicazione di un quadro generale dell’ilomorfismo al caso dell’anima e del corpo non sembra nemmeno possibile: la materia, secondo l’ilomorfismo, è contingentemente formata; così anche i corpi, trattati da Aristotele come materia, dovrebbero essere contingentemente formati. Se però i corpi sono omonimi solo quando hanno perso l’anima, allora i corpi sono necessariamente enformati: i corpi sono necessariamente effettivamente vivi. Quindi, i corpi umani sono sia contingentemente che necessariamente enformati. Questa sembra una conseguenza infelice e piuttosto immediata. Infatti, Aristotele sembra essersi contraddetto.

Alla luce di questo risultato apparentemente contraddittorio, è naturale chiedersi perché Aristotele sostenga in prima istanza che un corpo umano è solo omonimamente un corpo quando ha perso la sua anima. Perché sicuramente è questa affermazione la radice della sua difficoltà; è proprio il suo appello all’omonimia che rende problematica l’applicazione dell’olomorfismo alle relazioni anima-corpo. Forse, allora, la soluzione più semplice sarebbe che Aristotele ritrattasse semplicemente la sua affermazione che un corpo senza anima non è affatto un corpo, se non in modo omonimo. Allora un corpo umano potrebbe essere, come altri pezzi di materia, solo contingentemente formato.

Purtroppo, sembra esserci poca speranza che Aristotele ritratti semplicemente la sua affermazione che un corpo morto non è un corpo se non in modo omonimo. Perché egli impiega regolarmente un’ampia tesi di determinazione della funzione, secondo la quale “tutte le cose sono definite dalla loro funzione” (Meteorologica iv 12, 390a10-15; cfr. Generazione di animali ii 1,734b24-31; Politica i 2,1253a19-25). Questa tesi enuncia le condizioni necessarie e sufficienti perché qualcosa sia membro di un certo tipo F, in modo che tutte e solo le cose F manifestino la funzione caratteristica di quel tipo. (Così, per esempio, qualcosa è un computer se e solo se può essere usato per fare le cose che fanno i computer. Nessun pezzo di salame è un computer; e tutto ciò che può essere usato per elaborare testi, creare fogli elettronici e in generale per implementare programmi software è un computer). Il risultato di questo approccio all’individuazione del tipo di corpo sembra essere che nulla di incapace di impegnarsi nelle funzioni vitali caratteristiche degli esseri umani (mangiare, percepire, pensare) sarà un corpo umano. Ecco perché un corpo senz’anima, un corpo completamente privo di vita, non è un corpo umano, se non in modo omonimo. Questo è anche il motivo per cui un corpo senz’anima è più simile a una statua o a un dipinto di un corpo che a un corpo umano. Sebbene possa assomigliare a un corpo, un cadavere non può respirare più di quanto una statua possa camminare e percepire.Aristotele non è quindi libero di revocare il suo appello all’omonimia, almeno non senza sacrificare un profondo principio di individuazione della specie.

Ci rimane, quindi, solo una direzione per risolvere la contraddizione che sembra risultare dalla combinazione di omomorfismo e omonimia. Aristotele può forse ammettere che, oltre al corpo umano che è necessariamente vivo, esista un corpo che è solo contingentemente dotato di anima e quindi solo contingentemente vivo. Questo corpo sarebbe presumibilmente il tipo di materia che Aristotele caratterizza come non originaria (Metafisica v 6,1016a19-24; viii 4, 1044a15-25; ix 7, 1049a24-7). La materia non originaria è la materia che sta alla base della materia effettivamente usata nella generazione di qualche composto, anche se non è effettivamente presente o distinguibile in quel composto. Così, per esempio, mentre i mattoni e il mortaio sono la materia prossima della casa, l’argilla che è la materia dei mattoni è anche, sebbene non prossimamente, la materia della casa, poiché è stata usata come materia per la formazione dei mattoni.Anche se non è così ovvio nel caso di un essere vivente, la cui materia prossima è già molto strutturata, sotto la materia prossima ci sarà una materia non prossima che può essere solo occasionalmente formata. Questa materia non è necessariamente viva, e sarebbe anche la materia implicitamente contrapposta a quella che Aristotele identifica come la materia organica (De Anima ii 1,412a28-b1), cioè la materia umana pienamente formata e vivente, di un essere umano esistente. La materia non organica potrebbe allora qualificarsi come ciò che continua attraverso la generazione olomorfa, nel modo in cui il bronzo persiste attraverso la perdita e l’acquisizione di varie forme. Quindi, ci saranno effettivamente due corpi, uno organico e uno non organico, il primo dei quali è effettivamente e necessariamente vivo, ma il secondo no. Forse la distinzione tra corpo organico e non organico è paragonabile in qualche misura ai nostri diversi modi di parlare di “carne”: potremmo dire che la carne si ripara da sola quando viene tagliata o danneggiata, anche se ovviamente questo è detto solo della carne viva, anche se parliamo anche delle cose corruttibili come di tutta la carne. Solo nel primo caso ci limitiamo implicitamente a parlare del tipo di carne che è carne viva. Così anche per il corpo organico: è un corpo vivente quello di cui parliamo, ma c’è anche un corpo, il corpo non organico, che segue la via di tutta la carne.

Questa soluzione può sembrare in un modo o nell’altro stravagante, non parsimoniosa, o semplicemente in contrasto con il senso comune. Queste sono osservazioni che vengono giustamente espresse e approfondite; evidentemente, però, iniziano con l’ammettere che Aristotele non deve cedere di fronte all’accusa di autocontraddizione. Quindi, il progetto olomorfo da lui avviato rimane almeno una possibilità aperta. In ogni caso, esso mantiene tutti i vantaggi che il quadro generale di riferimento olomorfo impiegato porta con sé. Per essere sicuri, però, la preoccupazione generata dal problema di Ackrill è profonda, con ramificazioni sfaccettate per la nostra comprensione e l’eventuale valutazione del programma di filosofia della mente di Aristotele.

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